Questo post arriva tardi ma, dopo aver letto il fantasioso (eufemismo) comunicato stampa di un vendor in ambito customer data platform, secondo cui «oltre il 99% dei marketer raggiungerà la vista unica del cliente, o golden record, entro la fine del 2022», non potevo più rimandare.
No, le customer data platform – diciamolo forte e chiaro – non saranno adottate dalla maggioranza delle aziende entro fine anno, almeno non nell’accezione in cui siamo abituati a considerarle (scopriremo che si tratta di una classificazione miope). Soprattutto non in Italia, target a cui era destinato il comunicato.
Non succederà per varie ragioni:
- Le aziende non sono pronte. I marketer non hanno le competenze per implementare autonomamente la piattaforma. E se il progetto è in capo al digital, difficilmente avranno accesso ai dati necessari per renderlo un progetto realmente omnicanale. Per questo motivo l’IT ha un ruolo determinante, ma di rado sento aziende all’interno delle quali siano in corso guerre intestine.
- Le tecnologie costano parecchio. Il ROI è un’incognita enorme, con un anno di licenza spesso passato a configurare lo strumento e chissà quanti altri sprecati nel comprendere come sfruttarlo al massimo.
- Le policy di data protection cambiano e – cosa peggiore – lo fanno su base locale. Anche le aziende più strutturate tremano alla notizia di sanzioni severissime, che talvolta generano accese discussioni interne su come interpretare le regolamentazioni.
Parafrasando un famoso detto, chi ambisce alla single customer view deve imparare ad amare il processo, perché non si tratta di un obiettivo ma di un percorso. È l’approccio che ho adottato quando ho proposto di sviluppare una CDP in Benetton, operativa da settembre 2020 e diventata una case history sul blog di Google.
Davanti a una complessità tale, con un investimento della portata di una CDP (100mila euro annui di licenza per ottenere le credenziali + altrettanti di consulenza per accendere qualche connettore + due anni di progetto) sarebbe stato un suicidio (per me in primis). Così ho preferito ragionare su un progetto incrementale con un’architettura ibrida, anzichè puntare su uno delle tante soluzioni single-vendor emergenti.
Il risultato? Potrei parlarvi del saving (un quarto dell’investimento in termini di licenze e consulenza e nessun vincolo contrattuale di lungo termine) o dei tempi di rilascio (cinque mesi di progetto dal kick-off all’attivazione delle campagne display in programmatic) ma la soddisfazione più grande è stata la possibilità di disegnare una roadmap evolutiva calibrata su quanto il prototipo ci aveva insegnato in fatto di processi e di competenze necessarie, avendo scoperto che la customer data platform era l’ultima cosa in ordine di importanza per attivare una personalizzazione su larga scala.
Il resto è storia. Una storia parecchio interessante ma che, per ovvi motivi di riservatezza, non posso raccontarvi.
Quanto scetticismo dinanzi ad un approccio ibrido!
Ero convinto che l’approccio fosse quello giusto, eppure più leggevo cose online, più le mie certezze vacillavano. Le architetture ibride sembravano sempre più un’eresia. Ad aprile 2021 ho iniziato a partecipare attivamente a una community verticale. I partecipanti stavano discutendo su quale approccio fosse il migliore tra single-vendor, custom e ibrida. Ho illustrato il mio punto di vista, spiegando che un approccio ibrido può rivelarsi un vantaggio competitivo ma deve essere sostenuto da un modello organizzativo adeguato.
Sapevo che stavo toccando un tema molto caldo, ma non pensavo di finire citato su CMS Wire in un articolo che poneva una domanda diventata leit-motiv da quando il panorama martech è esploso, ovvero Do CDPs Really Make Marketers Independent of IT?
[…] Even the most marketer-friendly CDPs require fairly advanced skills, education and training for a business person to master. Daniele Sghedoni, who led the build of an open CDP based on Google Cloud Platform for Benetton, agreed that a sound marketing ops team is the crux for marketing being able to derive value from the CDP deployment. […]
Pur avendo rilevato qualche diffidenza (anche da parte di analisti di mercato con cui ho avuto l’opportunità di confrontarmi) continuavo a essere convinto che un’architettura ibrida fosse la soluzione ideale, pur faticando a trovare conferme. Almeno fino a luglio, quando è stato pubblicato il report “Customer Experience Trends & Insights” a cura di Martech Alliance, da cui tra le altre cose emergeva che quasi il 40% delle aziende stava adottando un approccio ibrido.
Oltremodo sospetto anche l’Hype Cycle for Digital Marketing di Gartner pubblicato a settembre, dove si riscontrava un calo dell’entusiasmo rispetto alle Customer Data Platform, pur rimanendo la personalizzazione e l’omnicanalità al centro dell’attenzione delle aziende.
Infine, a novembre, il post definitivo da parte di Lee Hammond, che approfondiremo più avanti:
More modular approaches to customer data management are emerging in this context, and this “unbundled” approach better aligns with existing internal processes. Better alignment means less work, less redundancy, and more adoption by the company at large.
Questo mio post, come dicevo, arriva tardi. Sono almeno un paio d’anni che mi riprometto di proporre un punto di vista diverso alle aziende interessate a adottare vere strategie omnichannel. Tuttavia voglio credere che, data la maggiore sensibilità nei confronti dell’all-in su una singola tecnologia, non sia poi così tardi.
Il primo post di una serie
Quello che mi impegno a fare nelle prossime settimane è rispondere ad alcune domande.
- Se proprio vogliamo parlare di customer data platform, quali tipologie offre oggi il mercato?
- Come si articola un’architettura di riferimento e qual è il ruolo di una customer data platform?
- Marketing, sistemi informativi, business intelligence, retail, vendor, consulenti: come organizzarsi per ottenere risultati significativi?
- Quali tecnologie consentono questo cambio di paradigma?
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